La parte edibile del carciofo è il fiore non ancora
dischiuso. La conoscenza di questo alimento risale agli egiziani, poi seguiti
dai greci e dai romani. Il primo ad utilizzarlo in terapia fu Galeno. La
coltura del carciofo è diffusa in tutta L’Europa meridionale e in America in
particolare nelle regioni temperate. Spesso si utilizzano anche solo i fondi
del carciofo, la parte più vicina al gambo privata dei petali esterni e quindi
della porzione più ricca di cellulosa che può indurre fermentazione intestinale
e meteorismo. I fondi sono pertanto utili a scopo terapeutico nei pazienti con
patologie epatiche. I nutrienti principali del carciofo sono costituiti da
cinarina, ferro, inulina e tannini. La cinarina è un alcaloide con azione
epatoprotettrice e ipocolesterolomizzante. Inoltre regola la peristalsi
intestinale. E’ disponibile nel carciofo crudo che, tra l’altro, può essere impiegato nelle diete ipocaloriche
(dimagranti) e nei soggetti diabetici. Il ferro è invece maggiormente
biodisponibile nel carciofo cotto che può essere utilizzato nel trattamento
delle anemie e sideropenie. I tannini hanno una azione sedativa e antitumorale;
per sfruttarli al massimo il carciofo deve essere mangiato in olio magari con
l’aggiunta di un po’ di limone. Nel carciofo sono anche presenti flavonoidi,
enzimi ipoglicemizzanti, potassio, calcio, magnesio, vitamina A, C e niacina.
Liberato dai petali e quindi dall’eccesso di fibre, il carciofo ha una azione
lenitiva e antiinfiammatoria a carico delle mucose gastriche per la presenza di
mucillagini.